Anni or sono, la sola idea di creare un’aerolinea non-statale era vista come un’utopia. Le ditte o erano dello stato o non c’era banca al mondo che potesse finanziare gli aeri, servizi, etc...
Poi apparirono le nuove aerolinee di basso costo, como EasyJet. Malgrado qualche esperimento venuto a meno, specialmente in Italia, si sono rivelate un fenomeno grandiosamente solvente, con l’eliminazione di “lussi superflui” come pranzi, l’installazione di cucinette, etc...
E questa settimana, Alitalia ha affrontato un triste momento: ancora un altro sciopero, che ha provocato disagi un pò dappertutto nel nostro paese e le conessioni estere. Quante migliaia di impiegati conta “l’aerolinea di bandiera”?
Purtroppo, quello che serve a identificare una ditta statale da una privata è l’ecesso di personale, che scarsamente viene risolto quando la si privatizza, e sempre coi sindacati in mezzo. Sono i sindacati, non lo stato, quelli che controllano queste ditte. L’utente è sempre alla mercè dei capricci di quattro inutili nostalgici dell’ Unione Sovietica, che altro che voler far funzionare la ditta vogliono la busta paga e lavorare il meno possibili.
Scusate l’eccesso di liberalismo, ma imprese del genere vengono a fallire, come stanno fallendo globalmente. Quando lasci in mano di molti la decisione che si deve prendere dall’alto, tenendo in conto tutte le maledette variabili, ci schiantiamo. È come se i passeggeri pilotassero l’aereo, invece del pilota: di sicuro potrebbero stabilizzare la macchina, ma mai la porteranno a buon porto.
È questo ciò che, sfortunatamente, succede in Alitalia. Invece di prendere le decisioni corrette, cioè licenziare il personale che stà mangiando il budget della ditta inutilmente, e di riconvertire quel personale al settore privato, gli italiani devono mantenerlo, e spesso di sciopero in sciopero, come le Ferrovie dello Stato.
Io mi chiedo quando l’Italia sveglierà da questo protezzionismo Keynesiano... E spero pronto.
Saturday, January 28, 2006
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